Col suo Messaggio per la 50° Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali Papa Francesco ha voluto connettere il tema della
«Comunicazione» a quello della «Misericordia». L’accostamento non è scontato.
Che cosa significa comunicare in maniera misericordiosa? Come si fa a
comunicare la misericordia?
La
comunicazione è «credibile» se è «affidabile»
L’assunto di
base di questo Messaggio è che tutto ciò che facciamo è comunicazione. L’amore
è comunicazione: quando è vero amore non può isolarsi. Se fosse isolato,
sarebbe una forma spiritualista di egoismo. Dunque proprio nel modo in cui
cerchiamo di vivere con tutto il nostro essere ciò che stiamo comunicando,
contribuiremo a restituire credibilità alla comunicazione umana. Questo
è il senso dell’incipit del Messaggio. La comunicazione è «credibile» non
solo se oggettivamente corrisponde al vero ma se è «affidabile», cioè è
espressione di una relazione di fiducia, di un impegno del comunicatore a
vivere bene la sua relazione con chi ascolta o chi partecipa all’evento
comunicativo.
La comunicazione della Chiesa non è «esclusiva»
Francesco
comincia subito a parlare della comunicazione ecclesiale. E dice che essa deve
essere inclusiva, da Madre, capace di «toccare i cuori delle persone e
sostenerle nel cammino». Dobbiamo comunicare da figli di Dio con altri figli di
Dio, senza distinzione di credo, idea, visione del mondo. Dobbiamo dunque
arrestare il processo di svilimento delle parole, il nominalismo della nostra
cultura. La gente è stanca di parole senza peso proprio, che non si fanno
carne, che nella nostra predicazione fanno sì che Cristo non si manifesti
più come persona, bensì come idea, concetto, astratta teoria dottrinale.
Si restituisca alla parola — specialmente a quella della predicazione — la
sua «scintilla» che la rende viva e che dà calore e odore umano alle parole
della fede.
La
comunicazione non scomunica
«La
comunicazione ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e
l’inclusione, arricchendo così la società», scrive il Papa. E «Le parole
possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli».
Persino quando «deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai
la relazione e la comunicazione». La comunicazione, proprio perché stimola
la creatività, deve sempre creare ponti, favorire l’accessibilità, arricchire
la società. Dovremmo gioire del potere di parole e azioni scelte con cura
per superare le incomprensioni, sanare i ricordi e costruire pace e armonia. Le
parole costruiscono ponti, sono «pontefici» tra le persone. E questo dovunque:
sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale. Parole e azioni devono
aiutarci a fuggire dal circolo vizioso della condanna e della vendetta che
continua ad intrappolare gli individui, le persone e le nazioni, e che poi si
esprime con messaggi di odio.
La parola del cristiano, in particolare, deve tendere alla comunione e dunque a togliere di mezzo l’atteggiamento di «scomunica». Ricordiamo che «la memoria delle mutue sentenze di scomunica, insieme con le parole offensive e i rimproveri immotivati per molti secoli ha rappresentato un ostacolo al ravvicinamento» anche tra cristiani. «La logica dell’antagonismo, della diffidenza e dell’ostilità, simboleggiata dalle scomuniche reciproche» deve essere «sostituita dalla logica dell’amore e della fratellanza», aveva scritto Papa Francesco nel suo Messaggio a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico, per la festa di sant’Andrea, 2015.
Per non spezzare la comunione è importante saper ascoltare, cioè «essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e i propri doni al servizio del bene comune».
La parola del cristiano, in particolare, deve tendere alla comunione e dunque a togliere di mezzo l’atteggiamento di «scomunica». Ricordiamo che «la memoria delle mutue sentenze di scomunica, insieme con le parole offensive e i rimproveri immotivati per molti secoli ha rappresentato un ostacolo al ravvicinamento» anche tra cristiani. «La logica dell’antagonismo, della diffidenza e dell’ostilità, simboleggiata dalle scomuniche reciproche» deve essere «sostituita dalla logica dell’amore e della fratellanza», aveva scritto Papa Francesco nel suo Messaggio a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico, per la festa di sant’Andrea, 2015.
Per non spezzare la comunione è importante saper ascoltare, cioè «essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e i propri doni al servizio del bene comune».
La misericordia è politica
«Vorrei,
dunque, invitare tutte le persone di buona volontà a riscoprire il potere della
misericordia di sanare le relazioni lacerate e di riportare la pace e
l’armonia», scrive Papa Francesco, sottolineando che «questo vale anche per i
rapporti tra i popoli». Dunque «è auspicabile che anche il linguaggio della
politica e della diplomazia si lasci ispirare dalla misericordia, che nulla dà
mai per perduto». Ecco il senso della «diplomazia della misericordia» per
Francesco: non considerare mai nulla perduto nella relazione tra popoli e
nazioni. A questo deve servire la comunicazione politica, dunque.
Il Papa invita coloro che sono intrappolati in vecchie ostilità ad intraprendere il cammino della misericordia; di riconoscere le proprie responsabilità, e di chiedere perdono e mostrare misericordia verso coloro che gli hanno fatto del male. Andiamo al di là della distinzione tra «vittime» e «carnefici».
Ma dobbiamo superare anche un’altra logica: quella che contrappone «vincitori» e «vinti». Viviamo in un mondo dove siamo abituati a dover provare quanto valiamo, a dover guadagnarci il rispetto e l’ammirazione degli altri. Spesso tale riconoscimento è riservato a coloro che hanno raggiunto il successo attraverso il benessere, il potere e la fama. Come risultato, possiamo notare un divario crescente tra coloro che sono visti come vincitori e coloro che sono giudicati perdenti. Nella società le persone competono per imporre il proprio valore e dignità, e chi sta in alto vuole tenere gli altri in basso. Tale visione indebolisce la dignità delle persone e, in particolare, ha come risultato che coloro che hanno fallito o che sono giudicati non all’altezza delle aspettative, vengono marginalizzati e rifiutati. Il nostro modo di comunicare non deve dunque esprimere mai l’orgoglio superbo del trionfo su un nemico, né umiliare coloro che sono scartati, che sono considerati «perdenti» e sono abbandonati. La misericordia può aiutare a mitigare le avversità della vita e offrire calore a coloro che hanno conosciuto solo la freddezza del giudizio. Un uomo può guardare un altro uomo dall’alto in basso solamente per aiutarlo a sollevarsi.
Infine — leggiamo — «lo stile della nostra comunicazione sia tale da superare la logica che separa nettamente i peccatori dai giusti. Noi possiamo e dobbiamo giudicare situazioni di peccato – violenza, corruzione, sfruttamento, ecc. – ma non possiamo giudicare le persone, perché solo Dio può leggere in profondità nel loro cuore». Infatti «parole e gesti duri o moralistici corrono il rischio di alienare ulteriormente coloro che vorremmo condurre alla conversione e alla libertà, rafforzando il loro senso di diniego e di difesa».
Il Papa invita coloro che sono intrappolati in vecchie ostilità ad intraprendere il cammino della misericordia; di riconoscere le proprie responsabilità, e di chiedere perdono e mostrare misericordia verso coloro che gli hanno fatto del male. Andiamo al di là della distinzione tra «vittime» e «carnefici».
Ma dobbiamo superare anche un’altra logica: quella che contrappone «vincitori» e «vinti». Viviamo in un mondo dove siamo abituati a dover provare quanto valiamo, a dover guadagnarci il rispetto e l’ammirazione degli altri. Spesso tale riconoscimento è riservato a coloro che hanno raggiunto il successo attraverso il benessere, il potere e la fama. Come risultato, possiamo notare un divario crescente tra coloro che sono visti come vincitori e coloro che sono giudicati perdenti. Nella società le persone competono per imporre il proprio valore e dignità, e chi sta in alto vuole tenere gli altri in basso. Tale visione indebolisce la dignità delle persone e, in particolare, ha come risultato che coloro che hanno fallito o che sono giudicati non all’altezza delle aspettative, vengono marginalizzati e rifiutati. Il nostro modo di comunicare non deve dunque esprimere mai l’orgoglio superbo del trionfo su un nemico, né umiliare coloro che sono scartati, che sono considerati «perdenti» e sono abbandonati. La misericordia può aiutare a mitigare le avversità della vita e offrire calore a coloro che hanno conosciuto solo la freddezza del giudizio. Un uomo può guardare un altro uomo dall’alto in basso solamente per aiutarlo a sollevarsi.
Infine — leggiamo — «lo stile della nostra comunicazione sia tale da superare la logica che separa nettamente i peccatori dai giusti. Noi possiamo e dobbiamo giudicare situazioni di peccato – violenza, corruzione, sfruttamento, ecc. – ma non possiamo giudicare le persone, perché solo Dio può leggere in profondità nel loro cuore». Infatti «parole e gesti duri o moralistici corrono il rischio di alienare ulteriormente coloro che vorremmo condurre alla conversione e alla libertà, rafforzando il loro senso di diniego e di difesa».
La rete
costruisce cittadinanza
Se la
comunicazione ha una rilevanza politica, essa ha anche un peso sempre più forte
nel sentirsi cittadini, nel costruire la cittadinanza. Riconoscendo la rete
come luogo di una «comunicazione pienamente umana», il Papa afferma che «anche
in rete si costruisce una vera cittadinanza. L’accesso alle reti digitali
comporta una responsabilità per l’altro, che non vediamo ma è reale, ha la sua
dignità che va rispettata. La rete può essere ben utilizzata per far
crescere una società sana e aperta alla condivisione».Il «potere della comunicazione» è la «prossimità». La prossimità innesca
una tensione bipolare di avvicinamento e allontanamento e, al suo interno,
presenta un’opposizione qualitativa: avvicinarsi bene e avvicinarsi male. Ecco
il compito di chi oggi è impegnato nella comunicazione: «In un mondo diviso,
frammentato, polarizzato, comunicare con misericordia significa contribuire
alla buona, libera e solidale prossimità tra i figli di Dio e fratelli in
umanità».
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